Scrivo questo articolo perché mi sarebbe piaciuto leggerne uno simile anni fa, scritto da altri.
Non so cosa darei per parlare al me stesso di anni fa, come spesso accade a chi, in seguito a determinate esperienze, cambia idea e vorrebbe tornare indietro con la macchina del tempo, per poter correggere i propri errori. Sono nato con una mutazione genetica chiamata TMPRSS3, situata nel cromosoma 21, che porta a una progressiva ipoacusia neurosensoriale.
Da bambino credo che, oltre a mia madre e mio padre, non se ne fosse accorto nessuno. Mi ha dato molto fastidio quando, alle scuole medie, i miei genitori dissero alle professoresse di mettermi al primo banco, affinché sentissi meglio.
Non ce n'era bisogno. Non sono sordo, mi dicevo. Ricordo ancora oggi il disagio di quando la professoressa, il secondo giorno di scuola mi disse: "Vieni qui davanti, così senti meglio". Tutti i compagni mi guardavano. Mi son sentito diverso e ho provato un forte senso di vergogna, perché fino ad allora non avevo mai ricevuto trattamenti inusuali, né attenzioni particolari.
Fino a 16 anni circa, la mia sordità si limitava solo alle alte frequenze, acute. Uccellini, campanelli in lontananza, sveglie, microonde, citofoni. Non ci prestavo molta attenzione, non ritenevo essenziale sentirli per poter vivere. Mi bastava sentire le persone parlare, ascoltare la musica, mi bastava percepire le frequenze medie e gravi. Col passare del tempo però, la sordità aumentava.
Nei dettati in Inglese non riuscivo a scrivere una sola parola. Mi facevo passare per disinteressato e svogliato, e alla fine ridevo insieme ai miei compagni per aver preso 2 in materia. Ma l'Inglese in realtà l'ho sempre amato, lo amo ancora. Ho nutrito un profondo interesse per le lingue straniere, e da grande avrei voluto fare l'interprete.
La professoressa, che mi aveva molto a cuore, di questo se ne accorgeva. Nelle verifiche scritte ero sempre il più bravo, prendevo spesso voti come 8, 9 e 10. Mi iscrisse lei stessa ad un corso pomeridiano, che prevedeva un esame finale e un certificato (PET), e che mi sarebbe tornato molto utile per il Curriculum. Passai brillantemente le prove scritte, ma fui poi bocciato alla prova orale. Abbandonai il corso di Inglese, a grande dispiacere della professoressa.
Nel frattempo i miei genitori, notando il peggioramento del mio udito, mi spronarono a indossare gli apparecchi acustici. Ma mi arrabbiavo. "Io non sono sordo, non ne ho bisogno" rispondevo. Tuttavia, dentro di me, sapevo benissimo che ne avevo bisogno, eccome! Semplicemente non sopportavo l'idea di indossare qualcosa che facesse notare a tutti la mia disabilità.
La sordità è una disabilità invisibile.
Si riesce a nasconderla benissimo, finché non si parla con qualcuno. Mi piaceva come, in metropolitana la gente mi guardasse, senza sapere che fossi sordo, nessuno mi considerava "diverso", né mi squadrava incuriosito. Quando non capivo qualcosa, avevo l'abitudine di far credere di essere distratto, stordito. Facevo lo scemo, ero diventato bravo a scherzare quando non capivo, e avevo sempre la battuta pronta per sviare le figuracce. Sono sempre stato un ragazzo solare, estroverso e simpatico. All'età di 20 anni ho conosciuto tantissime persone: frequentavo diverse compagnie, uscivo con le ragazze, andavo spesso a ballare anche in trasferta, e sono andato persino all'estero con persone da poco conosciute.
Passavano gli anni, e la sordità non smetteva di peggiorare.
Era un peggioramento lento, costante, quasi impercettibile. Me ne rendevo conto solamente quando incominciai a non sentire più le telefonate, e pensavo: "Caspita, ma solo 3 anni fa telefonavo tranquillamente". Ricordo che, un mio caro amico, anni prima si lamentava di come lo chiamassi insistentemente, per delle cavolate o per chiedergli se uscisse. Mi diceva scherzando: "Cazzo, ero con la tipa, mi stai addosso peggio di lei!". Successivamente, dopo anni, è arrivato a dirmi: "Mi mancano le tue telefonate". Questo lento peggioramento mi portò ad abbandonare l'università, perché non riuscivo più a seguire le lezioni. Feci l'ennesima visita audiometrica, e il dottore mi disse: "Altro che apparecchi, tu hai bisogno di un Impianto Cocleare. La tua sordità è grave, sei invalido civile vero?". No, non lo ero.
Sottovalutavo talmente tanto la mia sordità che mostravo un completo disinteresse verso ciò che comportava. Feci richiesta per l'invalidità civile, la ottenni, e da allora la mia vita cambiò. Per un ragazzo come me, allegro, vivace e con tanta voglia di fare, quello status di invalido mi pesava parecchio. Mi sconvolse. Divenni apatico, a tratti depresso. Smisi di frequentare tante compagnie, di conoscere nuove persone, di viaggiare per ballare, cosa che adoravo, ma non me la sentivo più. Facevo una fatica bestiale a sentire la voce delle ragazze.
Ero arrivato a uscire soltanto con la mia abituale compagnia, formata da meno di una decina di persone. Ovviamente, come si suol dire, gli amici veri si contano sulla punta delle dita, ma per uno come me frequentare solo lo stesso gruppo di persone, era un limite molto forte, mi sentivo in gabbia. Tuttavia questi amici mi hanno aiutato moltissimo, erano gli unici che sapevano del mio problema, e se non ci fossero stati loro, sarei letteralmente impazzito. Continuai con questa vita "monca" per qualche anno.
Poi una mattina, poco più di un anno fa, avvenne un fatto tragico e improvviso, che mi cambiò per sempre. Ero in ufficio, e mentre lavoravo stavo ascoltando la musica con gli auricolari. La canzone che stavo ascoltando la conoscevo a memoria, ma mi sembrava diversissima, non riuscivo a riconoscerla. Che diavolo era successo? Ero diventato quasi sordo da un orecchio. L'orecchio in cui sentivo di più, su cui facevo sempre affidamento, era venuto a mancare. Speravo fosse rotto l'auricolare destro, lo scambiai con quello sinistro, ma non cambiò niente. Panico, palpitazioni. Dissi al mio capo di non sentirmi bene e che sarei andato a casa, mi resi conto che non riuscivo a sentire lui che mi diceva: "Va bene", a meno di un metro di distanza. Un peggioramento così drastico e improvviso? Non può essere - pensavo - è qualcosa di temporaneo, un'otite, un'infiammazione. Non posso perdere quel poco che sentivo! Capii che l'orecchio era andato per sempre.
Piansi, mi assentai da lavoro per giorni, mi depressi. Ormai leggevo solo il labiale, e facevo una fatica assurda, spesso non capivo quando mi parlavano anche se ripetevano per una decina di volte. Non riuscivo più a sentire neanche i miei amici quando uscivo con loro. Gli amici, l'unica cosa che ormai mi era rimasta. Non riuscivo più a sforzarmi di credere che, nonostante le difficoltà, tutto sommato la mia vita andasse bene. Questa non era vita.
Anche mio fratello è sordo. Pochi mesi dopo il mio drastico e improvviso peggioramento, decise di operarsi per l'Impianto Cocleare. Cominciai a guardare incuriosito ciò che pochi mesi prima consideravo un tabù, come un qualcosa di brutto da far vedere, perché rifiutavo di ammettere di essere sordo, una disabilità era come un'onta difficile da accettare. Vedevo mio fratello migliorare sempre di più, lo invidiavo.
Arrivato a quel punto, me ne fregai di nascondere la mia "disabilità invisibile". Preferivo sentire, tornare a sentire piuttosto che vivere una non-vita.
Come scriveva una grande poetessa, Martha Medeiros, "essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare". Decisi di seguire mio fratello e di operarmi. Sono passati sei mesi da allora, e scrivo col sorriso. Preferirei evitare di dilungarmi raccontando dei mille suoni che ho incominciato a sentire e che non avevo mai sentito prima, come gli uccellini, le cicale, il microonde. Ogni volta che sentivo questi suoni ridevo di gioia, le prime volte mi venivano gli occhi lucidi. Ma di questi suoni alla fine non mi è mai importato più di tanto, la cosa più importante è che ripresi in mano la mia vita. Cominciai a sentire le persone parlare senza dover guardare le loro labbra. Giusto un paio d'ore fa stavo scrivendo una lettera dettata da mio padre, che era seduto un metro dietro di me. Ormai mi sembra così naturale.
Il telefono! Ragazzi, sono tornato a rompere le scatole al mio amico telefonandogli. La prima volta che l'ho chiamato dopo anni, sebbene si sia dovuto ripetere più volte, ha voluto vedermi per abbracciarmi ed era felicissimo, ma io ancor di più! Sono rinato. Anni fa mi vergognavo da matti a indossare un apparecchio, figuriamoci un Impianto Cocleare. Mia madre diceva: "Fatti crescere i capelli lunghi, così lo puoi nascondere". Ora mostro fiero il mio Impianto Cocleare, sulla testa rasata ai lati. Se penso alle paranoie che mi facevo prima, ora ci rido sopra.
Quando la gente mi guarda incuriosita, non provo nessuna vergogna, gli sorrido.
Credo si sia capito, ma è questo il motivo per cui vorrei parlare col me stesso di anni fa. Il ragazzo che si faceva problemi, che si rifiutava di ammettere le evidenze, per una stupida questione di orgoglio. Se questi sono i risultati che ho potuto ottenere con soli sei mesi di allenamento, non oso immaginare dove sarei ora se mi fossi operato anni fa.
Se c'è qualcuno che legge e si rispecchia nel ragazzo che ero qualche anno fa, vorrei rivolgermi a lui. Non fare i miei stessi sbagli. Non lasciarti consumare da una bestia che ti divora sempre di più e che ti fa perdere le cose più belle della vita.
Adesso vi devo salutare, mi sta suonando il telefono...
DP
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